In odontoiatria l'implantologia orale è una branca specialistica che si occupa della sostituzione degli elementi dentali andati perduti per carie o per infezioni gengivali, mediante impianti in titanio inseriti nelle ossa mascellari. Su questi vengono applicate delle protesi dentarie per il completo ripristino estetico e fun zionale.
L'implantologia, nasce in Svezia per merito del Professor Per-Ingvar-Branemark al quale si deve l’intuizione dell’importanza del Titanio in medicina.
Il Professor Piero Balleri in uno dei suoi incontri con il Professor PI Branemark
L’intuizione dei due ricercatori stava per cambiare il corso dell’odontoiatria e della medicina. Nuovo osso si era formato intorno al Titanio incorporandolo in un legame meccanico stabile e duraturo. I due studenti si resero immediatamente conto della portata della loro scoperta e dell’importanza che avrebbe avuto il Titanio per la medicina. Da lì a poco organizzarono un Team di studio nel quale convocarono professionisti di numerosi campi della scienza medica ed odontoiatrica quali chirughi orali, protesisti, parodontologi, chirurghi maxillo facciali, ortopedici ed anche ingegneri, psichiatri ed economisti. Ebbe inizio così un periodo di intensissima ricerca sugli animali. Rapidamente furono ideati degli impianti da poter inserire nelle ossa di animali da esperimento. La loro forma cilindrica con le filettature di una vera e propria vite, era praticamente la medesima degli impianti attuali.
Innumerevoli furono gli studi che confermarono la validità dell’intuizione iniziale. Dopo pochi anni il gruppo di ricercatori ritenne che fosse giunto il momento di applicare questa scoperta all’uomo.
All’inizio pensarono di sottoporre all’inserimento di impianti ossei un paziente ortopedico che presentava la frattura della rotula del ginocchio, ma intervenne Uto Braine, il chirurgo maxillo facciale che faceva parte del Team proponendo come primo paziente un uomo di nemmeno trent’anni di età che a seguito di un incidente automobilistico aveva perduto tutti i denti dell’arcata inferiore. Il suo nome era Gosta Larsonn ed era stato nominato “l’uomo che non può masticare nemmeno una striscia di burro”.
E’ curioso come sebbene l’interesse iniziale dei Ricercatori fosse rivolto a tutti i distretti ossei vittime di una mutilazione e quindi prevalentemente ortopedico, la sorte fece cadere il primo trattamento nell’odontoiatria che divenne da quel momento la culla e la sede naturale dell’implantologia.
Gosta Larsonn ricevette cinque impianti nell’area del mento ai quali venne applicata, avvitandola su di essi, una protesi di dodici denti. Era il maggio del 1965.
Circa cinquant’anni dopo, poco prima della sua morte, quattro dei suoi impianti erano ancora in perfetta funzione. Questo modello riabilitativo che permetteva di risolvere una vera e propria mutilazione estetica e funzionale ha attraversato senza una ruga oltre cinquant’anni di odontoiatria giungendo a noi praticamente immodificato consegnando ai nostri pazienti percentuali di successo inimmaginabili ad oltre venticinque anni ovvero prossime al 100%.
è morto il 20 Dicembre 2014
Il trattamento delle quinte e delle seste classi di Cawood e Howell dell’arcata superiore presenta delle particolarità ulteriori.L’alternativa ad una protesi totale in queste estreme atrofie mascellari attualmente risiede nell’uso dei cosi detti impianti”zigomatici”. La metodica consiste nell’inserire quattro impianti, due per ciascun lato nel mascellare superiore che vanno ad ancorarsi nel processo zigomatico del mascellare. La metodica nasce in Svezia verso la fine degli anni ottanta ed all’inizio venne impiegata principalmente per il trattamento delle gravi lesioni destruenti neoplastiche o traumatiche. Questa metodica venne poi traslata nella clinica implantare per il trattamento delle estreme atrofie mascellari che non consentono il trattamento classico.
E’ una chirurgia che richiede che il paziente venga sottoposto ad anestesia generale, sia per la durata dell’intervento, (circa tre ore)sia per un maggior comfort del paziente durante l’intervento. Come tale non può essere praticata in ambiente ambulatoriale ma deve essere effetuata in una sala chirurgica.
E’ necessario un attento studio preliminare utilizzando le immagini tridimensionali di una Tac dental scan. Può essere utile ricorrere a modellini in resina per uno studio tridimensionale prechirurgico. Per le caratteristiche di particolare densità del processo zigomatico che conferisce agli impianti un’elevata stabilità primaria, con grande frequenza l’uso di questi impianti premette di consegnare una protesi fissa in poche ore con enorme solllievo per questi pazienti.
(1) Cawood JI, Howell RA. A classification of the edentulous jaws.
Int J Oral Maxillofac Surg. 1988; 17(4):232-6
2)Lekholm et al. Soft tissue and marginal bone conditions at osseointegrated implants that have exposed threads: a 5-year retrospective study. Int J Oral Maxillofacial Impl 1996.
3)Long-term follow-up of severely atrophic edentulous mandibles reconstructed with short Brånemark implants
Friberg B, Gröndahl K, Lekholm U, Brånemark P-I
Clin Impl Dent Rel Res 2000; 2: 184-189
Queste immagini, relative a sezioni radiografiche di mascellari superiori atrofici, ben legittimano questa definizione relativa alle lame di coltello. Si tratta invero di soluzioni non semplici da trattare secondo le modalità di chirurgia classica, ovvero modalità che non prevedono il ricorso ad innesti ossei. Obbligo del terapeuta è infatti quello di individuare sempre il percorso meno invasivo per il paziente che può peraltro rivelarsi di non semplice eseguzione.
“Il protocollo chirurgico più semplice sembra essere il più sicuro e con risultati maggiormente predicibili”. Branemark et al. 1995, Tolman 1995, Lekholm 1998
Sulla base di questo principio nel 2008, unitamente ad altri colleghi, pubblicammo i dati relativi ad uno studio su 12 pazienti i quali presentavano tutti caratteristiche anatomiche definibili come quarta classe di Cawood ed Howell.
In questi pazienti furono inseriti 74 impianti di diametro ridotto, ovvero 3.5 mm. L’impiego di questi impianti ci obbligò ad accettare l’esposizione di alcune spire dell’impianto, decisione che si rivelò priva di conseguenze come già segnalato da Lekholm nel 1996. (2)
Fu poi adottato un inserimento mesio distale degli impianti
Tutti i pazienti furono seguiti per un anno succesivamente al carico. Le stabilità implantari valutate con l’Analisi della Frequenza di Risonanza furono raccolte all’inserimento degli impianti, alla connessione degli abutment, ovvero all’inizio della fase di protesizzazione, e dopo un anno di carico. Negli stessi tempi furono raccolte le immagini radiografiche per valutare i livelli di osso crestale ed i relativi eventuali riassorbimenti. Durante il periodo indagato non furono registrati fallimenti implantari ne protesici.Nel grafico sono visibili i valori di stabilità implantare indicati come ISQ ed i relativi tempi di raccolta dei dati. Come è visibile dopo un primo modesto calo dei valori alla riapertura degli impianti, le stabilità risultano aumentate dopo un anno di carico.
Un caso esemplificativo è il seguente: nel 2001 una paziente di circa sessanta anni giunse alla nostra osservazione chiedendo una riabilitazione protesica possibilmente fissa di entrambe le arcate. L’aspetto clinico mostrava una evidente sofferenza dei tessuti perilabiali espressione del grave stato di disagio sofferto dalla paziente nell’indossare due protesi totali. L’esame ortopantomografico “la panoramica” confermò la situazione clinica rivelando la presenza di residui dentali inutilizzabili protesicamente. Venne raccolta una TAC Dental scan la quale mostrò una grave atrofia ossea di entambi i mascellari ascrivibile alla quarta classe di Cawood e Howel. La particolare conformazione della mandibola, con notevoli cavità linguali, complicò ulteriormente le condizioni di trattamento chirurgico.
La Tac Dental Scan rivela l’estrema atrofia ossea.
Nonostante l’esiguità dei volumi ossei disponibili, procedendo chirurgicamente come prestabilito con impianti di diametro ridotto ad inserimento angolato mesio distale, fu possibile inserire sette impianti nell’arcata superiore che consentirono la costruzione dopo sei mesi di una Toronto Bridge secondo le consuete modalità.
Dedichiamoci adesso alle Quinte ed alle Seste classi di Cawood e Howell. Sa un punto di vista terapeutico queste non differiscono in quanto la differenza di volume tra le due è insignificante.
Iniziamo a prendere in esame queste estreme atrofie nell’arcata inferiore. Spesso si tratta di pazienti che mostrano mandibole con una dimensione residua che si aggira intorno ai dieci millimetri.Coerentemente agli insegnamenti della Scuola di Goteborg il trattamento di questi pazienti non prevede l’utilizzo di innesti ossei. Nella loro enorme esperienza relativa al trattamento di migliaia di edentulie complete, il gruppo Svedese ha trattato nel corso di quasi trenta anni una sola paziente utilzzando un innesto osseo.Al contrario nel 2000 pubblicaro i risultati relativi ad un gruppo di pazienti con atrofia mandibolare estrema (3)
Lo studio riguardò
• 49 pazienti
• quantità/qualità E / 1 (secondo Lekholm e Zarb)
• chirurgia in due tempi, ovvero carico protesico dopo 4 mesi
• 247 impianti standard di 7 mm lunghezza
• 13 implanti di largo diametro 6/5 mm
• Periodo medio di controllo dopo il carico 8 anni
Risultati:
• Risultati a 5 anni 95.5 %
10 years 92.3 %
• 0.7 mm riassorbimento osseo a 5 anni
• Due viti di connessione abutment fratturate
I risultati di questa indagine confermano la bontà di questo trattamento dedicato alle mandibole estremamente riassorbite senza impiego di innesti
Nel 1998 una signora di sessantacinque anni si rivolse al nostro studio chiedendo di risolvere la sua edentulia possibilmente con una protesi fissa.
L’inserimento attento di cinque impianti nell’area del mento consenti di risolvere l’edentulia inferiore con una protesi fissa tipo Toronto Bridge. L’arcata superiore venne riabilitata con una protesi totale rimovibile.
Il fallimento implantare corrisponde di fatto alla perdita dell’impianto a seguito della disgregazione del rapporto micromeccanico tra le spire dell’impianto e l’osso neoformato che le circonda.
L’esatto opposto del Fallimento è il Successo implantare. Preferiamo esprimerci in termini di fallimento per il seguente motivo: se una tecnica chirurgia presenta il 98% di successo ed una il 96%, le due tecniche sembrano equivalenti in termini di bontà di successo. Se invece vengono valutate in termini di fallimento la seconda tecnica con quattro fallimenti percentuali rispetto alla prima che ha solo il due percento, risulta avere una percentuale di fallimento doppia rispetto alla prima. Così il concetto di fallimento meglio visualizza l’esatta entità del fenomeno che corrisponde alla perdita dell’impianto ed alla sua funzione.
Nei trattamenti meno “ortodossi” rivolti a situazioni cliniche più complesse e quindi meno prevedibili, per così dire “operatore dipendenti” ovvero strettamente dipendenti dall’esperienza dell’operatore, compresi i casi di innesto osseo, i fallimenti assommano nell’insieme a circa il 20%. Considerando unitariamente tutti i trattamenti ed i fallimenti correlati, l’Implantologia si presenta come una disciplina chirurgico riabilitativa nella quale dobbiamo attenderci circa l’8% di fallimenti.
Riepilogo delle percentuali di fallimento per gli impianti Brånemark (16.953 impianti),
Esposito et All 1998:
Complessivamente: 7,7%.
Primo Momento:
il fallimento si verifica dall’inserimento dell’impianto all’applicazione dei denti. Se un impianto fallisce in questa fase, tra l’inserimento nell’osso ed il carico masticatorio, significa che il fenomeno biologico della produzione di nuovo osso, l’osteointegrazione non è avvenuto. Questo si chiama FALLIMENTO PRECOCE (Early Failure) ed è causato quasi interamente da un’infezione batterica che si è verificata al momento dell’inserimento dell’impianto. In totale avvengono in questa fase circa il 50% dei fallimenti. (47%).
Per evitare che questo avvenga, ovvero che dei batteri possono giungere contaminandola, alla sede dell’intervento, è obbligatorio che per tutta la durata delle fasi chirurgiche relative all’inserimento implantare siano mantenute costanti condizioni di sterilità.
Purtoppo la sterilità è un valore assoluto. “Abbastanza sterile o sufficientemente sterile” non sono concetti accettabili. La sterilità in chirurgia prevede che ogni strumento mantenga questo stato “sterile” dall’inizio alla fine dell’intervento. E’ obbligatorio in questa specifica disciplina dove una protesi in titanio viene inserita in segmento osso sano di un paziente sano per recuperare una funzione, che l’impianto venga inserito nella sua sede finale senza aver nessun contatto con qualsivoglia superficie. Giova ricordare che altri momenti chirurgici peraltro particolarmente importanti per difficoltà , quali l’estrazione di un dente del “giudizio” inferiore ,richiedono ovviamente l’uso di strumenti sterili ma a questi non viene richiesto di rimanere tali per tutta la durata dell’intervento dato che la sede dove sono impiegati è di fatto una sede infetta che guarirà a seguito dell’estrazione del dente malato.
La FERRISTA Preparazione dello strumentario chirurgico.
Al fine di evitare qualsiasi contatto con la cute del volto del paziente da parte del chirurgo durante l’intervento, la Ferrista ha poi il compito di proteggere il volto del paziente con un telo plastico adesivo sterile. Ogni falla nel controllo dell’infezione durante questo momento del trattamento implantare potrà complicarsi con una infezione e quindi in un fallimento precoce.
Fasi della preparazione del paziente in un teatro sterile.
Questo cedimento osseo si verifica per più motivi. Può trattarsi di un osso troppo soffice, poco denso, oppure di volume troppo esiguo che non resiste al carico masticatorio. In ogni circostanza si tratta di un carico masticatorio che risulta comunque eccessivo rispetto alla capacità di resistenza meccanica di quella sede ossea. In valore assoluto il carico masticatorio può anche essere modesto ma l’osso che lo riceve può comunque per sua costituzione, non sostenerlo. Questo è il SOVRACCARICO PROTESICO (Overload).
Il Fallimento Tardivo, a sua volta si divide in altri due momenti, vale a dire il Fallimento Tardivo che avviene nel PRIMO ANNO DI CARICO (circa il 50% dei fallimenti tardivi) ed il Fallimento Tardivo che avviene SUCCESSIVAMENTE AL PRIMO ANNO DI CARICO. (A sua volta il restante 50% dei fallimenti tardivi). Questo significa che dal momento dell’inserimento al termine del primo anno di carico avvengono il 75% dei fallimenti. Significa inoltre che il primo anno di carico rappresenta una fase in cui si mantiene una notevole vulnerabilità meccanica del sistema ed è pertanto un tempo necessario per il completamento dell’integrazione dell’impianto al fine di ottenere una stabilità implantare sicura e permanente. Esistono infatti ricerche che dimostrano che l’osteointegrazione è un processo biologico che necessità per la sua completa maturazione un periodo di tempo che può sfiorare i due anni. Nel 2006 (4) il mio gruppo pubblicò i risultati di uno studio condotto su sei pazienti per un totale di 64 impianti inseriti nel mascellare superiore. In questi pazienti erano state raccolte le stabilità implantari dopo sei mesi dal loro inserimento mediante un sofisticato strumento mutuato dall’ingegneria meccanica in grado di valutare la stabilità di una vite. (Analisi della Frequenza di Risonanza). I valori di stabilità definiti ISQ , (Implant Stability Quotients) erano riportatati sulle ordinate mentre sulle ascisse era riportato il Tempo. Di seguito sono riportati due grafici con i dati relativi a due pazienti nei quali è possibile osservare che con il passare del tempo i valori di stabilità implantare aumentano fino a stabilizzarsi introrno ai due anni. Deve essere precisato che 60 ISQ è il valore di stabilità ritenuto in grado di sostenere il carico masticatorio.
Emerge in modo evidente ,come è precisato nella sezione relative al ”CARICO IMMEDIATO”, (Deve essere ribadito che con il trascorrere del tempo nuovo osso si formerà attorno alle spire dell’impianto in Titanio grazie allo straordinario fenomeno biologico dell’osteointegrazione fornendo una definitiva, migliore e sicura STABILITA SECONDARIA’) che il TEMPO rappresenta il miglio amico nella terapia implantare in quanto è dimostrato che con il trascorrere di esso un volume di osso sempre magiore si addenserà attorno alle spire dell’impianto migliorando in via definitiva la sua stabilità ed affidabilità meccanica.
Sarà pertanto il chirurgo implantologo che verificate le condizioni di stabilità implantare relativamente alla densità elevata o meno della sede trattata, a decidere il tempo che deve trascorrerre prima dell’applicazione dei denti. Una valutazione errata della stabilità implantare in questa fase che non conceda il tempo neccesario all’integrazione ossea di completarsi e che veda l’applicazione dei denti ed i reativi carichi mesticatori avvenire troppo presto, può concludersi con un fallimento di uno più degli impianti inseriti.